Il biologo nutrizionista Enrico Veronese ha studiato La dieta delle bricioleuna dieta che promette di ottenere risultati lusinghieri e duraturi.
«Immaginiamo che si tratti di un viaggio da Torino a Milano», spiega. «Prima di partire bisogna sapere come guidare, altrimenti anche il percorso migliore indicato da su Google Maps non porta da nessuna parte». Nel caso del cambio di registro dietetico, invece, occorre anzitutto una «formazione mentale». Un altro punto cruciale è che i risultati ottenuti da un regime alimentare corretto devono essere mantenuti nel tempo. «La vera sfida non è solo perdere peso, ma non recuperarlo più. Le diete restrittive possono portare a effetti temporanei, ma spesso causano un effetto yo-yo, che vanifica gli sforzi. Questo accade quando la dieta diventa una sofferenza insostenibile e quindi si torna alle vecchie abitudini – quando nel mentre il metabolismo si è abituato alle restrizioni precedenti – con il risultato di ingrassare di nuovo». Se non di più. Ecco perché «è fondamentale evitare di pensare che esista una soluzione « miracolosa », come una dieta iper-restrittiva o esclusiva. Queste pratiche, anche se talvolta basate su principi fisiologici corretti, sono semplici privazioni che non affrontano le cause reali del problema», continua Veronese.
Ed ecco la soluzione: «La dieta non dev’essere un regime di privazioni, ma un processo di compensazione: bisogna sostituire le abitudini alimentari sbagliate con quelle corrette in un percorso di cambiamento a lungo termine, compiendo piccoli passi per volta (da qui “la dieta delle briciole”, ndr). Ho sviluppato un modello nutrizionale ispirato alle scienze comportamentali, proveniente dal Dipartimento di Stanford, che ho adattato alla nutrizione. E il punto fondamentale è che ogni cambiamento, per essere davvero tale, deve generare un’emozione positiva. Non possiamo fare scelte che, seppur sane, non ci piacciono. Gli albumi a colazione, per dire, possono rappresentare un’ottima fonte di proteine, ma se risultano sgraditi non creeranno mai un legame positivo e quindi saremo indotti a cercare altre soddisfazioni».
Decisamente meglio affidarsi alla «teoria dell’ospite». «Dobbiamo trattare noi stessi con la stessa attenzione che avremmo nei confronti di un ospite a cui teniamo, come offrirgli un buon pasto in una stanza ben illuminata, apparecchiando con cura». Per esempio: «Si può scegliere di mangiare uno yogurt greco appena tolto dal frigo, senza aggiungere nulla, e di mangiarlo velocemente con un cucchiaino, magari in piedi. E questo genererà una sensazione di fastidio, freddo e acidità. Ora, immaginiamo di prendere lo stesso yogurt e di metterlo in una terrina di vetro, aggiungendo un cucchiaio di Truvia – un dolcificante vegetale assolutamente naturale – un po’ di caffè caldo e una spolverata di cacao: la percezione sarà completamente diversa. Il cervello assocerà il gesto a qualcosa di piacevole che produce dopamina, l’ormone del piacere, e il comportamento diventerà più facile da ripetere. Lo stesso discorso vale per la pasta integrale: perché scegliere varietà orribili, quando da Eataly ce ne sono di buonissime? Poi posso condirla con un cucchiaio di pesto, una grattugiata di Parmigiano, una foglia di basilico fresco o magari un po’ di sugo di carne. Non devo per forza mangiarne una valanga, ma quella pasta diventa un premio, una gratificazione. È lo stesso concetto che si applica ai cuccioli: quando vuoi che facciano qualcosa di positivo li premi, non li punisci».