Bologna – A Bebbio i bimbi sono tornati a giocare nella casa dei Prodi. Nipoti, pronipoti. «È la vita comunitaria che continua. Nove fratelli comprarono quel casone nel 1969. Continuano a crescerci le generazioni», racconta don Matteo. Suo padre Vittorio adesso è sepolto, insieme ai fratelli Paolo e Giorgio, nel cimiterino vicino alla casa sull’Appennino reggiano. Don Matteo, 58 anni, ha celebrato il matrimonio di due dei tre fratelli, dei due figli di Romano, i 50 anni delle nozze di Romano con Flavia. Due giorni fa, ha celebrato il funerale solenne di suo padre Vittorio a Bologna e il saluto privato a Bebbio. Ora stringe la mano ad Alessandra, la mamma, nell’appartamento a Bologna, vicino a dove abitava il sindaco Zangheri, professori cattolici e comunisti di altri tempi. «L’omelia di un figlio — dice — credo sia l’ampliamento massimo di un rapporto. Ho detto messa per papà in casa, ne parlavamo. È terra, è cielo. Lo ha raccontato zio Romano al funerale di Flavia. Lo scambio non si interrompe».
Nella grande famiglia di «cattolici adulti» dei Prodi, don Matteo è quello che ha scelto l’abito talare. Un prete di strada, che si occupa di fragilità e povertà, e quindi all’occorrenza di temi politici e sociali. Come quando chiese all’allora premier Enrico Letta di «alzare le tasse ai ricchi», e qualche anno dopo abbandonò la parrocchia a Zola Predosa dove aveva deciso di accogliere dei migranti. Ha celebrato il funerale del padre Vittorio Prodi, fratello di Romano Prodi.
Studi e vita religiosa: celebrò le nozze d’oro di Romano Prodi
Un anno prima di entrare in seminario, però, nel 1990, si laurea in Economia e commercio, tesi su «Strategie e integrazioni di impresa». Gli studi proseguono negli anni ma prendono un altro percorso. Nel 1996 consegue il titolo di Bacceliere alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna e viene ordinato diacono dal cardinale ed arcivescovo Giacomo Biffi, che nel 1997 lo ordina presbitero. È il figlio di Vittorio Prodi, ex europarlamentare ed ex presidente della Provincia, scomparso a 86 anni. Molto legato allo zio Romano, aveva celebrato quattro anni fa le nozze d’oro dell’ex premier e di Flavia Franzoni. Nella stessa chiesa, quella di San Giovanni in Monte, dove lo scorso 16 giugno sono stati celebrati i funerali della docente universitaria e moglie del professore. Matteo come il nome di suo nipote, morto a 18 anni dopo un incidente stradale il 27 febbraio 2020. Il sacerdote era in prima fila, con tutti i parenti, nel pellegrinaggio verso San Luca in ricordo del ragazzo, ad un anno dalla tragedia.
Quando accolse i migranti e la lettera aperta all’ex premier Letta
Ora la perdita del padre, di cui ha celebrato le esequie nella chiesa di Sant’Anna, dove ha esortato così i presenti: «Fate figli e fate politica». Parole che hanno strappato qualche sorriso in chiesa, anche se non è la prima volta che don Matteo interviene nel dibattito pubblico senza troppo preoccuparsi dei commenti. Nel febbraio del 2014, scrive una lettera aperta a Enrico Letta, che da lì a breve si dimetterà da presidente del Consiglio. «Approfitti del poco tempo che gli rimane per andare incontro ai poveri d’Italia», e quindi «aumenti le tasse ai ricchi, vada incontro ai più deboli, faccia qualsiasi cosa e otterrà risultati incredibili: forse invertirà il trend nei sondaggi, forse potrà ricandidarsi con successo alle prossime competizioni elettorali».
L’addio polemico alla parrocchia e la passione per la politica
Don Matteo nella lettera si presenta come «un povero prete, parroco di una bellissima e piccolissima frazione della provincia di Bologna», quella di Ponte Ronca di Zola Predosa, che lascerà a sorpresa nel 2017, con un annuncio sui social. In canonica don Matteo aveva deciso di ospitare dei profughi, e qualche cittadino aveva storto il naso e forse qualcosa di più, ma nel suo annuncio aveva preferito evitare polemiche. «Non a tutti è piaciuta o piace la mia vita. A nessuno, però, era lecito portare in pubbliche piazze valutazioni negative su di me, che hanno fatto male a me, ma soprattutto alla comunità», un passaggio del suo addio alla parrocchia. Era poi andato a svolgere funzioni liturgiche in una chiesa in zona Massarenti a Bologna occupandosi anche qui di migranti, con messa in inglese la domenica e scuola di italiano per gli ospiti dell’hub di via Mattei. L’amore per la politica però non lo ha mai abbandonato. Nel 2018, poco prima delle elezioni politiche, pubblica il libro «Votare, oh, oh!», dove a un mese dalle elezioni, si proponeva di indicare una strada ai «credenti e agli uomini di buona volontà».