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Scorsese voleva « essere Bertolucci »

Roma – « Ho visto Bernardo Bertolucci, alla presentazione di ‘Prima della Rivoluzione’. Avevo ventitrè anni, ed ero lì che lo guardavo come una divinità. Un po’ fu per ambizione che pensai ‘io voglio essere lui’. Ma più di tutto, a sopraffarmi, fu la bellezza del suo film. E ci ho provato, e ci ho riprovato, e ci sono voluti anni, mi ha ispirato molto anche ‘Accattone’ (di Pier Paolo Pasolini, ndr), ma l’impulso a creare – che c’è sempre stato – è venuto da quel film ».

La casa (di Roma)


Martin Scorsese racconta la sua storia, e quella dei suoi film, che poi in fondo sono la stessa storia. E lo fa secondo il linguaggio che conosce meglio: invitando al cinema la città che del suo cinema, in qualche modo, è stata ispiratrice: nella Casa del Cinema di Roma, che gli ha dato « Carta Bianca » per costruire un itinerario di cinematografia.

Un viaggio che porterà alla proiezione del nuovo film del gigante del cinema americano, in chiusura della retrospettiva. Trentadue film, divisi in coppie: uno di Scorsese, e uno di un regista che lo ha ispirato, che lo ha commosso, che lo ha emozionato, che gli ha fatto pensare « questo sì, che è un capolavoro ». Lo dirà spesso, nel corso della serata, l’ottantenne premio Oscar, in dialogo con il presidente della Fondazione Cinema per Roma Gian Luca Farinelli.

Lo dirà spesso, che i grandi film in questa retrospettiva romana ci sono, ma non sono necessariamente i suoi: « Quando ti ho dato le coppie di titoli non l’ho fatto perché tu pensassi che uno fosse buono come l’altro: perché ‘Night of the Hunter’ (in italiano ‘La morte corre sul fiume’, di Charles Laughton, ndr) è un capolavoro irraggiungibile. Il mio ‘Cape Fear’ (‘Il promontorio della paura’, ndr) è stato il tentativo di entrare nel genere thriller, horror. E’ solo per questo che li ho accostati ».

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I valori di Dino Risi

Ma non sempre la connessione è lineare: il più delle volte, confessa il regista « li ho scelti perché volevo che veniste a vederli ». E’ un invito al cinema, dunque, per tutta Roma, da Martin Scorsese. Invito accettato: libri aperti e teli stesi, l’attesa del regista americano è andata in scena ore prima dell’appuntamentosull’erba dell’arena di Villa Borghese dedicata a Ettore Scola, gremita di ammiratori già dal pomeriggio. Pazienti, ma non tanto da risparmiare buu e fischi all’annuncio dei nomi del sindaco Gualtieri e del presidente della Regione Rocca che differivano il rendez vous con il regista: fischi sciolti in applausi quando Gualtieri ha detto alla folla « Tranquilli, so che non siete qui per noi, saremo brevi.. ».

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Sullo schermo, nella maratona pensata da Scorsese per il pubblico italiano (romano prima, e poi bolognese) tanta Italia, e non per dovere d’ospitalità. ‘Il colore dei soldi’ (‘The color of money’) viaggia insieme a Il sorpasso di Dino Risi perché entrambi trattano « di valori, e di come un uomo un po’ scapestrato, ma che si pone come mentore, cerchi di corrompere un uomo più giovane ».

Valori che Scorsese definisce « vivi », e attuali dopo la seconda guerra mondiale cosi’ come oggi: « a metà tra realismo e spiritualità ».

L’incontro con Fellini

Gioca, Scorsese, nonostante l’età o forse proprio in virtù dei suoi anni, sullo spirito e su Roma, negli stessi giorni in cui, riportano le cronache, ha annunciato a Papa Francesco l’intento di girare un film sulla figura di Gesù. Roma, certo, e poi i ricordi. « Ho incontrato Federico Fellini la prima volta a Sorrento – racconta – poi venni a trovarlo a Roma. ‘Maestro’, gli dissi, ‘ho tenuto la Cappella Sistina e lei come ultimi appuntamenti in questi miei giorni a Roma’. E qualcuno nella stanza gli disse: ‘Federico, sei diventato un vecchio monumento noioso' ». « Lui mi diede un suo disegno – continua – dicendo ‘questo è un gran casino. Sai cos’è un casino?’, e poi mi consigliò il miglior ristorante secondo lui. Era solo 53 anni fa.

Ci siamo poi visti nel corso degli anni, e quando finalmente avevamo i fondi con la Universal per fare un documentario, è mancato: voleva fare dei film sui mestieri del cinema, iniziando dal produttore e dal location manager. Anche perché chi trova le location, si sa, magari trova dei posti che non ti serviranno a niente, ma ci mette vicino il miglior ristorante ».

Un viaggio dentro e fuori Roma, dunque, e dentro e fuori la storia del cinema, sempre legato dal filo rosso della bellezza. Narra, Scorsese, il legame tra ‘Cenere e Diamanti’ di Andrzej Wajda e ‘The Departed’, e tra ‘Shadows’ di John Cassavetes e ‘Who’s that knocking at my door’: « ogni scusa è buona – dice Scorsese al pubblico romano – per portarvi a vedere questi film ». La prima coppia, oggi, quel ‘Prima della Rivoluzione’ che fu miccia per la passione di un ventitreenne Martin Scorsese, insieme a ‘Mean Streets’, un film che « non pensavo sarebbe andato nelle sale, diciamocelo, ma intanto l’ho fatto ».

Quando De Niro lo mise nei guai con la mamma

Autobiografico nella trama e nel ricordo: « l’improvvisazione – racconta ancora divertito e divertente – è stata un’idea di Robert De Niro. Lui voleva farmi vedere che conosceva quei quartieri, che sapeva cavarsela nonostante tutti i suoi debiti, e che conosceva il linguaggio di quelle strade, appunto cattive di New York.

Riuscì talmente bene, nell’improvvisazione, che alla prima del film, al New York Film Festival, i giornalisti andarono dai miei genitori a chiedere cosa pensassero del film, e mia madre rispose ‘voglio che sappiate che nessuno in casa nostra usa quel linguaggio, non so dove l’abbia imparato‘ ». Era il 1973, Martin era uno studente della New York University che aveva preso a girare film. Quella che viene dopo è storia.

Amelia Cartia, Agi

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